Condividi:

Era un sabato assolato, ma non troppo, la città si era spostata al mare, Mondello era piena di ragazzi, quelli che non studiavano e non lavoravano, quelli che all’uscita da scuola prendevano al volo l’autobus per buttarsi in acqua….poi, c’erano quelli che già lavoravano o che, all’università, si preparavano per gl’imminenti esami…un sabato pomeriggio qualunque che alle 17,58 avrebbe colpito tutti loro, l’intera Palermo.

Un boato lontano per alcuni, più vicino per chi si trovava al mare, seppur distratto, lo ha sentito e ha tremato.

Quello era un periodo duro, grandi attacchi a “cosa nostra“, il pool antimafia da anni lavorava a risultati importanti, aveva perso tante vite, uomini integerrimi, magistrati, uomini delle forze pubbliche, amministratori della cosa comune, Prefetti… Ma non avevano mollato e ne avrebbero avuto ben donde…paura per sé e per le proprie famiglie, disincanto, avrebbero potuto arrendersi ad un sistema che pullulava di infiltrati che sabotavano ogni singola iniziativa di Giustizia.

Quel trasferimento di Falcone a Roma, l’uomo di strada lo aveva visto come un abbandono della lotta, come una resa….qualcuno lo aveva preso come un tradimento all’amico Paolo Borsellino, che era rimasto al fronte.

Chi, invece, seguiva i fatti di Giustizia, anche solo per informarsi, sapeva che quella promozione a direttore degli affari generali del Ministero di Grazia e Giustizia, per il Giudice Falcone era proprio il modo di superare ogni ostacolo e lavorare sulle riforme, legittimare e affinare gli strumenti che, insieme al pool antimafia, aveva sperimentato e fornire basi istituzionali inattaccabili alle Procure di tutto il mondo per operare in sinergia e sconfiggere la mafia.

Per la Palermo buona, quella che di Falcone non poteva che fidarsi, il trasferimento a Roma era il modo per fare calare la tensione, per non perdere nulla  del lavoro meticoloso fin lì svolto….e perché no…per sopravvivere alla macchina da guerra potentissima che aveva creato e che lo aveva piazzato al centro del mirino della mafia internazionale.

Eppure, a quel boato, ogni palermitano ha pensato a lui, al dott. Falcone…

Dopo il boato ci fu un silenzio lunghissimo, tante televisioni si accesero alla ricerca di informazioni….allora internet non c’era…ma niente…nessuna notizia per più di mezz’ora.

Le prime Ansa e i più informati davano Falcone a Roma, impossibile si trattasse di lui….ma, dopo un po’, arrivò la notizia che fosse rientrato in città quel mattino….

Dopo 10 minuti, il silenzio fu rotto dalle prime sirene….la polizia, i carabinieri….e poi le ambulanze, quel suono acuto, incalzante, dirompente….moltiplicato per dieci….

Sembravamo api, giravamo vorticosamente, non sapevamo se scendere in strada per capire e aiutare, se chiuderci dentro e continuare a ronzare nervosamente, attendendo di sapere che non fosse nulla di grave.

Poi la conferma, una bomba in autostrada, all’altezza di Capaci…., una strage, la scorta fatta a brandelli e solo per fatalità il Giudice era ancora vivo ed era stato trasportato al nosocomio più vicino.

Di quell’uomo coraggioso, che aveva scelto di non avere figli per non mettere al mondo orfani, in un istante siamo diventati tutti figli, che tremavano e pregavano perché potesse salvarsi, con lui soffriva e lottava la speranza di tutti noi ragazzi, bambini, uomini che a questa Palermo pulita ormai ci credevano.

Quante lacrime quel 23 maggio 1992, quanta disperazione, quanta vergogna…e c’era chi già piangeva gli agenti della scorta, gli angeli custodi….quelli che anche se sapevano bene che rischio corressero, erano lì accanto al loro Giudice.

All’inizio si disse che la dott.ssa Francesca Morvillo fosse stata trattenuta a Roma, la commissione di quel concorso per la magistratura aveva richiesto la sua presenza anche il sabato….e invece….

Le famiglie si riunirono davanti la TV, come quando si guardava la finale dei Mondiali, ma stavolta c’era più silenzio, la città pareva avvolta dal vuoto, dappertutto.

Palermo si era fermata, per strada risuonavano solo le sigle delle varie edizioni speciali dei tg…tutti eravamo in attesa di un lieto fine che non arrivò mai.

Palermo rimase a bocca aperta, con gli occhi pieni di lacrime e un grido soffocato in gola….

Stavolta la mafia aveva colpito tutti noi, aveva ucciso platealmente la speranza e mandato un messaggio chiaro e forte….guai a chi volesse riprovarci !!!

Col cuore in pezzi, accanto alle più alte cariche dello Stato, ai funerali c’era tutta Palermo…nessuna esitazione su quanto potesse essere pericoloso essere lì quella mattina,  alla Chiesa di S.Domenico, quella dove si celebrano i funerali di Stato. Eravamo tutti lì, chi osservava un silenzio rispettoso e addolorato, chi urlava la propria rabbia, perché veniva tenuto a distanza….chi gridava che quello era il nostro funerale.

E poi sale sull’altare la vedova di Vito Schifani, Rosaria Costa e zittisce tutti, col suo dolore autentico e si rivolge direttamente ai mafiosi, perché c’erano anche loro li tra noi, e piangendo al microfono, sorretta da un prete che la vorrebbe fiduciosa, e la scuote quando esce dal seminato, lei, invece, tuona con il poco fiato che le concedeva l’emozione “loro non cambiano” “non c’è amore qui, non ce n’è”.

Quel giorno gridavamo e piangevamo a quelle ennesime morti ingiuste, alla fine della speranza.

Noi che quel 23 maggio c’eravamo abbiamo un compito, il compito di garantire la memoria, di raccontare il dolore, sul quale poggia ogni speranza dei cittadini onesti.

Abbiamo l’obbligo di fare camminare le loro idee sulle nostre gambe e su quelle dei nostri figli, dei nostri nipoti e così via….per non dimenticare MAI.

 

GUARDA IL VIDEO

 

Condividi: